La storia, in materia acquatica, spa e benessere di epoca romana, insegna molto e dovremmo recuperare quel patrimonio ingegneristico e culturale per risparmiare ed essere effettivamente più green
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Riprendendo le riflessioni riportate in sintesi pochi giorni or sono, sono praticamente costretto a parlare di tecnologia (parte rilevante della mia professione da oltre 50 anni).
Nelle piscine, come nei centri benessere, il cuore pulsante del sistema di offerta è costituito dalla tecnologia. L’alimentazione idrica per gli impieghi generali e soprattutto per riempire le vasche d’acqua, la produzione di acqua calda sanitaria, per i bagni, le pulizie e molto altro rappresentano il cardine fondamentale per la vita ed il funzionamento degli impianti acquatici. Poi c’è l’energia elettrica per tutti gli impianti ed i dispositivi elettromeccanici e illuminanti, a cui si affida anche la componente termotecnica (riscaldamento di acqua ed ambienti, climatizzazione, ventilazione caldo/freddo degli ambienti). Rappresentano un elevato costo di investimento in fase realizzativa, richiedono una competenza altamente specifica nella progettazione e sono tutti fortemente energivori, per cui costituiscono un centro di costo elevato nella gestione.

Spesso negli impianti natatori come in quelli per il benessere il progetto e la realizzazione di questa tecnologia dedicata sono affidati e realizzati secondo le procedure standard degli impianti tecnici civili. Anche se questa tecnologia non ha molto a che fare con case, alberghi, ristoranti e tutte le altre opere e strutture che fanno parte della nostra vita (dal domestico all’ambiente di lavoro o di vacanza) e del nostro paesaggio urbano.
È doveroso a questo punto rammentare quello che facevano i Romani, quando non esisteva ancora l’energia elettrica, il motore o la lampadina. Semplice: sfruttavano al meglio le leggi della natura, le conoscenze di base sul comportamento delle materie prime quando la conoscenza dei meccanismi di produzione del calore e del sollevamento dell’acqua erano basati sulla tradizione e sull’applicazione pratica. Nel rispetto dell’ambiente e nella consapevolezza di dover evitare gli sprechi di risorse naturali.

Ogni progetto di realizzazione pratica prendeva forma, comunque, da una considerazione filosofica: trovare il giusto equilibrio tra natura e uomo, senza sperperi e senza compromessi, nella ricerca costante di produrre benessere preservando sempre e in modo definitivo i cicli naturali. Pensando proprio al benessere, all’igiene ed alla salute degli utilizzatori.
Soffermiamoci un istante nel constatare quanto siamo lontani da questo approccio….
E prendiamo in esame qualche esempio. La costruzione dei contenitori dove inserire le vasche per il bagno o le funzioni per il benessere, per esempio, rappresenta tutt’ora fonte di stupore (soprattutto per le conoscenze scientifiche e la tecnologia disponibile del tempo).
Per le necessità di disporre di ambienti a temperatura costante, estate ed inverno e per riscaldare l’acqua per i diversi usi, millenni fa, venivano utilizzati tecniche e soluzioni veramente innovative (almeno a quei tempi, ma anche fonte di riflessione – e stupore -oggi). Il sistema di riscaldamento, chiamato ipocausti, era alimentato da un forno (praefurnium), in cui il combustibile era costituito esclusivamente da legna. La costruzione di questo centro di produzione di calore si basa su terracotta e mattoni refrattari, in grado di far bruciare lentamente in ridotta presenza di ossigeno, ma producendo alte temperature tramite i fumi derivanti dalla combustione e la circolazione d’aria basta su scambi condizionati interno esterno.

Pur non disponendo di teorie specifiche relative alle funzioni adiabatiche che determinano la termodinamica, ne avevano una indubbia conoscenza applicativa. Questi fumi, come l’aria calda, circolavano naturalmente per stratagemmi fisici indotti, sia sul sotto pavimento (galleggiante) che sulle pareti. La circolazione avveniva tramite manufatti in terracotta forati e continui all’interno, a sezione sia rettangolare che semisferica, dotati di “alette” che aumentavano la superficie di scambio dinamica con l’ambiente circostante. Lo sviluppo di tali cavedi era talmente elevato che praticamente lo scarico dei fumi era ridotto all’essenziale una volta perso il carico termico. Il riscaldamento dell’acqua avveniva tramite veri e propri scambiatori, costituiti da canalizzazioni in manufatti sempre in terracotta che seguivano labirintici percorsi ad elevata efficienza termica, cedendo energia termica all’aria ambientale o all’acqua circolante (contenuta in altre condotte in terracotta), semplicemente per conduzione a contatto. La regolazione termica avveniva con l’immissione nella rete idrica specifica di acqua od aria fredda.

I manufatti termali o quelli delle semplici piscine riscaldate di quel tempo sono rimasti intatti in molte infrastrutture archeologiche e ci mostrano un mucchio di dettagli sulla conoscenza delle tecniche fisiche di realizzazione di ambienti confortevoli, sempre con costi energetici molto contenuti in rapporto ai risultati ottenuti. Altro aspetto interessante è che le stesse tecniche venivano usate su tutte le sponde del Mediterraneo, fino ad essere ben conservate nell’ attuale Russia meridionale, in Armenia e nel nord Europa (ad esempio Bath, UK). Cioè, ovunque l’Impero avesse conquistato territori tra il II ed il IV secolo D.C. Tali opere avevano un significato socio sanitario ben evidente, tanto che gli insediamenti iniziavano con la ricerca di sorgenti di acqua non inquinata e con la realizzazione di strutture termali: il Genio Militare di allora doveva dare una risposta immediata alle necessità di pulizia e detergenza, di benessere rilassante e rinvigorente, e di mantenimento, se non di cura, del fisico e dello spirito dei legionari e poi della popolazione insediata.
Gli esempi potrebbero essere centinaia (meravigliosamente conservati alcuni siti di archeologia termale in Tunisia (come a Cartage), in Libya (Leptis Magna e Sabratha), in tutta Europa come nel vicino oriente.

Come trattavano l’acqua delle piscine in questi luoghi? Purtroppo la documentazione al riguardo è scarsa. Di certo si sceglievano acque pure alla sorgente. Si sa che in queste venivano immesse essenze naturali (come Eucalipto, od Agrumi, o acido acetico – questo come derivato dalla produzione di vino, oppure l’acido citrico da agrumi) con effetti anche disinfettanti. In ogni caso l’acqua veniva continuamente ricambiata apportando acqua fresca, in più o meno pari a circa il 10%-20% del volume invasato (stima basata sul diametro delle adduzioni di immissione) e l’acqua in scarico veniva fatta scorrere all’interno di altre condotte (sempre in terracotta, raramente – in epoca più recente – in tubazioni in piombo) che attraverso lunghe e complesse condutture di scarico, cedevano l’eccesso di energia termica all’ambiente circostante, contribuendo in questo modo al risparmio energetico.
Ma come facevano a muovere l’acqua attraverso questi complessi sistemi di raccolta e distribuzione? Semplice: per caduta naturale. Le sorgenti erano sempre poste ad un livello topografico superiore al punto di conferimento. E quando ciò non era possibile, mulini a vento o a trazione animale determinavano il salto piezometrico, e quindi il gradiente idraulico, necessario a muovere l’acqua nei tubuli in terracotta.

Tali sistemi, frutto di una raffinata ingegneria e conoscenza delle leggi del ciclo naturale, di certo hanno funzionato per molto tempo, anzi per almeno 3-4 secoli.
Una lezione che abbiamo dimenticato, ma che i fatti recenti relativi a conflitti, stravolgimenti geopolitici, elevati costi energetici, cambiamenti climatici e rischio qualiquantitativo per tutte le risorse naturali disponibili, ci inducono a recuperare, con umiltà e forti di una tecnologia e di una conoscenza scientifica incredibile. Ma dobbiamo ricordarci della semplicità delle scelte tecniche del passato per imparare a risparmiare, a riciclare ed a recuperare. Insomma, a divenire davvero green non solo negli annunci e nelle speranze.