Dopo gli allarmi della scorsa estate, con tanti propositi e progetti contro la penuria di acqua, alle troppe parole non è seguito alcun fatto: italianamente siamo ancora qui a parlare mentre la siccità preoccupa e i centri sportivi, piscine in particolare, potrebbero subire limitazioni
Certo che essere così incapaci di agire sta diventando la vera specialità nazionale: una sorta di autolesionismo endemico. La crisi idrica sicuramente sta già colpendo e penalizzando settori come l’agricoltura, con effetti negativi anche sul carrello della spesa, quindi per tutti gli italiani.
Il problema non è certo solo nazionale, ma europeo. Guardando a casa nostra il nulla fatto fino ad oggi, nonostante una rete idrica che perde circa il 55% dell’acqua prima che arrivi a destinazione, conferma che azioni concrete sono decisamente mancate. La scorsa estate si parlò di invasi per raccogliere l’acqua piovana che, se lo avessimo dimenticato, è scesa copiosa e per un lungo periodo lo scorso autunno. Ma erano “parole” di cui politica ed istituzioni amano riempire le cronache, per poi lasciare nel cassetto qualsiasi progetto immediato.
Ora la crisi idrica morde di nuovo con fiumi e laghi sotto i minimi storici e i monti privi della stagionale neve che aiuterebbe ad avere una parte di acqua necessaria.

Le piscine, ora che cominciano a respirare dopo tre anni di crisi pesantissima, potrebbero essere messe in difficoltà nei prossimi mesi, soprattutto nella stagione vitale per le casse dei centri sportivi e acquatici, dove l’acqua è la fondamentale risorsa e la protagonista attrattiva.
Leggendo il contributo pubblicato da ripartelitalia.it potremmo anche essere rassicurati.
Ma il problema è che i tanti progetti, che allo stato attuale sono solo delle proposte, potrebbero richiedere tempi che in Italia sono tradizionalmente vergognosi e, onestamente, la crisi idrica, conseguenza soprattutto del cambiamento climatico, non concede proroghe. Potremmo avere un’estate estremamente torrida, senza possibilità di disporre delle piscine in modo ottimale: un danno per la collettività, una catastrofe per gli operatori del comparto.

Evitiamo comunque allarmismi eccessivi, ma la situazione va presa sul serio e, quando Utilitalia segnala che una delle problematiche preoccupanti è quella della burocrazia collegata in particolare alle procedure autorizzative che assorbono circa il 40% dei tempi per la realizzazione di infrastrutture fondamentali, ci capacitiamo di quanto limitante e perdente sia il sistema Italia anche su questo fronte.
Ci sono 11 miliardi di euro da investire: la finanza è reperibile, sono il fattore tempo e le autorizzazioni le variabili estremamente critiche.
L’Italia non può più permettersi ritardi. Il mondo delle piscine e dello sport in generale, ancora meno.
Ecco le 8 proposte dei gestori del servizio idrico per contrastare la siccità | Lo scenario
Utilitalia ha formulato otto proposte concrete per favorire l’adattamento infrastrutturale delle reti idriche al cambiamento climatico. Nel giorno della prima riunione del tavolo interministeriale per l’emergenza siccità, la Federazione delle imprese dei servizi pubblici, le cui associate forniscono i servizi idrici all’80% della popolazione italiana, ha presentato le sue ipotesi.

La prima proposta prevede di promuovere un uso efficiente dell’acqua, incentivando ulteriormente la riduzione delle perdite e i comportamenti virtuosi: gli investimenti sono in costante aumento (+22% negli ultimi 5 anni) con un valore pro capite di 49 euro l’anno, che però è ancora lontano dalla media europea che è di circa 100 euro; al contempo, in Italia il consumo pro capite di acqua potabile si attesta in Italia sui 215 litri per abitante al giorno, rispetto ai 125 litri della media europea.
La seconda punta alla realizzazione delle opere infrastrutturali strategiche, ovvero di grandi invasi ad uso plurimo, di invasi di piccole e medie dimensioni ad uso irriguo e di interconnessioni delle reti idriche per favorire l’adattamento e per garantire ad ogni territorio una pluralità di fonti, prevenendo le emergenze future.
La terza proposta si concentra sul riutilizzo efficiente delle acque depurate a fini agricoli o industriali: si tratta, ricorda la Federazione, di un potenziale enorme pari a 9 miliardi di metri cubi all’anno, che in Italia viene sfruttato solo per il 5% e che potrebbe essere impiegato in misura maggiore, laddove economicamente efficiente.

Sarà inoltre necessario contrastare l’avanzata del cuneo salino attraverso l’aumento dei volumi delle falde: lo scorso anno il cuneo salino è risalito di diverse decine di chilometri nel Po, nell’Adige, nel Piave e lungo il Livenza, e l’impinguamento della falda rappresenta una soluzione che contrasta l’immissione di acqua salata dal mare.
Il quinto punto si concentra sulla necessità di diversificare la strategia di approvvigionamento, con la produzione complementare di acqua potabile anche attraverso la dissalazione: in Italia le acque marine o salmastre rappresentano solo lo 0,1 % delle fonti di approvvigionamento idrico, contro il 3% della Grecia e il 7% della Spagna.
Fondamentale è poi il rafforzamento del ruolo di pianificazione dei sette distretti idrografici, il cui ruolo è indispensabile nella governance interregionale della risorsa idrica, soprattutto nella gestione delle fasi particolarmente siccitose.
La settima proposta si concentra sul sostegno alla presenza di gestori industriali e al conseguente superamento delle gestioni in economia: in media, al Sud, oltre il 30% delle gestioni idriche è privo di un soggetto industriale, contro il 7,2% del Centro-Nord; a fronte di una media di investimenti annui di 49 euro per abitante, nelle gestioni comunali in economia gli investimenti crollano a 8 euro per abitante. Per le società del servizio idrico «sarà infine necessario semplificare le procedure per la realizzazione degli investimenti, estendendo le semplificazioni ai progetti connessi ai servizi pubblici locali a rete, dal momento che nel nostro Paese le procedure autorizzative occupano oltre il 40% del tempo necessario per la realizzazione di un’opera infrastrutturale».

«I periodi siccitosi» spiega il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini «non possono più essere considerati eccezionali. Vanno pertanto affrontati attraverso interventi che favoriscano la resilienza delle reti idriche nell’ambito di un approccio globale che consideri tutti i diversi utilizzi dell’acqua nel nostro Paese, garantendo la priorità all’uso civile». Per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, le aziende italiane del settore idrico sono pronte a mettere in campo investimenti per circa 11 miliardi di euro nei prossimi 3 anni: 7,8 saranno destinati ad interventi per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento idrico delle aree urbane ed una maggiore resilienza delle infrastrutture, e 3,1 miliardi per contrastare il fenomeno delle dispersioni idriche.
«Parliamo» conclude Brandolini «di serbatoi, nuovi approvvigionamenti, riutilizzo delle acque reflue, riduzione delle dispersioni e interconnessioni tra acquedotti. Ma per garantire nei prossimi anni un approvvigionamento sicuro di acqua potabile che, va ricordato, riguarda il 20% degli usi dell’acqua, servono azioni sinergiche che coinvolgano anche il mondo agricolo e interventi non più procrastinabili sul fronte della governance».
Fonte: ripartelitalia.it/