Non possiamo più procrastinare scelte nuove per gli impianti pubblici destinati a tutta la popolazione o all’agonismo: serve una distinzione fra chi si identifica nelle società no profit e chi, molto lecitamente, punta a fare business per assicurare servizi idonei per la collettività; il ruolo degli Enti Locali incapaci di cambiare
Non che tutto andasse bene, prima, certo che no. Ma si pensava di tirare avanti senza la necessità di sconvolgimenti epocali, senza dover mettere in discussione tutto quello che ci si era guadagnato con tanto lavoro ed impegno. La gestione delle piscine pubbliche in qualche modo funzionava.
Poi è cambiato tutto. Quello che è successo durante la fase più critica dell’epidemia era difficilmente immaginabile, anche se, nell’analisi e nella gestione di impresa, imprevisti di questo tipo andrebbero sempre previsti. Le chiusure prolungate hanno abituato gli utenti a fare altro, scoprendo, in alcuni casi, che fare altro piace di più. O forse è solo il timore del contagio, fatto sta che gli utenti sono diminuiti e sono rimasti i debiti contratti per non cessare l’attività nel periodo delle chiusure.
Ma questo è il passato. Il presente è il tempo della programmazione del futuro.

Come ci immaginiamo il futuro degli impianti natatori pubblici? Pensiamo davvero che, una volta risolta l’epidemia (ma si risolverà mai del tutto?), tutto tornerà come prima e potremo riprendere dal punto esatto in cui avevamo lasciato?
Forse no. Forse serve un ripensamento profondo del sistema, serve analizzare la situazione reale, di oggi, e capire quanto possiamo mantenere e cosa dobbiamo necessariamente evolvere. E’ pensabile che tutto il peso economico della gestione, comprese manutenzioni ordinaria e straordinaria, di un impianto natatorio coperto, resti in capo ai privati? E quali privati? Con quale corrispettivo, dal punto di vista dell’offerta sociale alla popolazione?
Serve un ripensamento profondo del sistema, serve analizzare la situazione reale di oggi e capire quanto possiamo mantenere e cosa dobbiamo necessariamente evolvere
Perché la coperta è corta: se l’Ente pubblico non vuole spendere, non può pretendere che alcuni servizi vengano offerti a prezzi bassi; se vuole servizi sociali per la popolazione, non può pretendere che una associazione sportiva si faccia carico di tutto il peso economico della gestione.
Partiamo da qui, cioè dalla relazione stretta tra tipologia di gestore e tipologia di offerta. O meglio, ancora prima, partiamo da cosa si intende per offerta sportiva. Tenere i bambini lontano dalla strada? Educare le nuove generazioni ai sani principi sportivi? Questo è agonismo, e si rivolge principalmente ai bambini che diventeranno atleti. Vogliamo invece far sì che la popolazione si muova, resti in forma ed in salute, a qualsiasi età? Questa è attività sportiva e non c’entra nulla con l’agonismo. Se guardiamo ai numeri, l’attività sportiva è di gran lunga più utile alla popolazione, perché la coinvolge potenzialmente tutta ed ha una ricaduta positiva sulla salute enorme, rapportata all’agonismo.
L’attività sportiva invece può tranquillamente essere un business. Non c’è niente di male, niente di eretico in questo
Quali soggetti possono sviluppare queste due differenti attività? Quella agonistica è per forza di cose legata al CONI, alle Federazioni, e quindi alle Società Sportive senza scopo di lucro. E quando queste tipologie di società gestiscono impianti, e lo fanno davvero per lo scopo sociale con il quale sono nate, devono essere sostenute economicamente dall’Ente pubblico, pena il disastro a cui stiamo assistendo di impianti chiusi e gare per la gestione deserte. L’attività sportiva invece può tranquillamente essere un business. Non c’è niente di male, niente di eretico in questo. Chi produce bicilette è forse un nemico del sociale? Assolutamente no, anzi, ma fa business. Le società farmaceutiche, le nostre salvatrici di oggi, sono forse senza scopo di lucro? Direi di no.

Quindi anche l’impianto natatorio pubblico può essere gestito a scopo di lucro, al pari di moltissimi altri appalti, ma senza vincoli di spazi acqua garantiti a soggetti diversi dal gestore, di scuole con ingresso ridotto o altro. E’ quello che sta succedendo in questi ultimi tempi, in effetti, attraverso società italiane e straniere che fanno business attraverso la gestione delle strutture sportive pubbliche. L’unico problema è che, per poterle gestire, devono fingersi altro.
Signor Sindaco, che futuro vuole per la sua piscina? Si faccia seriamente questa domanda e costruisca una gara d’ appalto che scelga in modo chiaro ed inequivocabile la tipologia di soggetto che dovrà gestire la piscina
Devono fingersi società sportive senza scopo di lucro, perché ora tutto lo sport, di qualunque tipologia, è confuso in un unico calderone senza identità. Iniziamo a differenziare le cose, almeno a livello Comunale. Signor Sindaco, che futuro vuole per la sua piscina? Si faccia seriamente questa domanda e, in base alla risposta, costruisca una gara d’ appalto che scelga in modo chiaro ed inequivocabile la tipologia di soggetto che dovrà gestire la piscina nel modo che ritiene più opportuno. Gli strumenti giuridici ci sono, basta sapere dove si vuole arrivare e costruire la strada.

Rossana Prola prola@professioneacqua.it