Chi ha futuro nel settore ha colto come il sistema stia trasformandosi ed è parte attiva del rinnovamento; c’è chi in modo pervicace resta ancorato al passato, abbandonandosi al lamento e non campendo che il mercato decreta chi può reggere le nuove sfide
L’APPROFONDIMENTO DEL WEEKEND
Per caso l’occhio è caduto su un vecchio editoriale del nostro magazine che, all’epoca, si concentrava più sulle piscine, quando oggi wbox.it e la sua voce cartacea, HA Wellbeing, sono focalizzati su palestre, piscine, hotel e centri sportivi in generale.
Era il 2008, anno molto difficile, ma nessuno allora avrebbe mai potuto immaginare quali immani difficoltà il comparto avrebbe dovuto affrontare una dozzina di anni dopo.
Molti hanno vissuto ambedue queste fasi di crisi.
Dalla prima ne siamo usciti e per un decennio il fitness ha marciato a buon ritmo, mentre le piscine, che già nel primo decennio del terzo millennio claudicavano, negli anni successivi hanno cominciato ad avere il fiato corto.
Oggi quelle piscine di ossigeno non ne hanno proprio più e, se alcune hanno già chiuso i battenti, altre, più inclini al lamento che al cambiamento necessario, probabilmente capitoleranno.
Veniamo da una crisi tremenda (la seconda), aggravata da un incontrollabile caro bollette, complicato da inflazione e aumenti dei costi delle forniture. Tanti hanno preferito chiudere nei mesi freddi, mentre le palestre hanno faticato e stanno faticando, ma proseguono nella propria fase di rilancio, ancor più se hanno le piscine.
Come? Alcune piscine pubbliche chiudono e quelle private reggono e tengono aperto?

Il fitness sta progressivamente recuperando i numeri prepandemici e punta a ritornare e a superare i valori del 2019 nel corso di quest’anno; e le piscine, molte delle quali hanno superato il numero di iscritti del passato, hanno demorso e chiuso le serrande quantomeno per la stagione fredda?
Piscine private, ma anche molte piscine pubbliche gestite da società che vedono un po’ oltre l’emergenza attuale, non hanno ritenuto di rinunciare all’apertura per due motivi:
- La chiusura, ancorchè provvisoria, fa perdere clienti che emigrano verso altre piscine o altri centri sportivi, come di fatto è avvenuto e sta avvenendo: premiati coloro che hanno tenuto aperto, oggi si ritrovano spesso con liste d’attesa per eccesso di domanda, nonostante gli aumenti tariffari (la gente non vuole rinunciare alla piscina, purchè temperature dell’acqua e servizi non calino). Questi i clienti non li hanno persi, li hanno aumentati. Hanno preferito marginare meno, perché le bollette quadruplicate sono un danno incalcolabile per i bilanci, ma consolidare ed aumentare la clientela. Chi ha chiuso, non ha risparmiato, ha perso definitivamente clienti che difficilmente recupererà.
- Chiudere, significa non dare da lavorare ai propri collaboratori che, o scelgono di passare ad altri settori, come è avvenuto durante la pandemia, o vanno a lavorare in piscine o palestre concorrenti. Quindi, chi ha chiuso, ha perso pure il personale qualificato, con la certezza che buona parte di quelle persone non tornerà mai più a lavorare nel proprio club o piscina. Un danno strategicamente peggiore della perdita di clientela.

Se poi consideriamo che il costo del gas, di cui si paventava un crescendo insostenibile, sta calando in questa fase di picco di freddo, chi ha tenuto aperto sta decisamente vincendo la scommessa, avendo così gettato basi solide per una ripresa che è stava avviata da settembre, anzi, per molti durante l’estate scorsa, pur dovendo compensare le perdite di un biennio e più.
Sicuramente la crisi energetica ed inflazionistica non più essere ignorata e pesa come un macigno: a conti fatti, ma più da ragionieri che da imprenditori, poteva essere una scelta sensata quella di chiudere nei due mesi più freddi.
Ma chi fa impresa sa far di conto e sa anche accollarsi dei rischi, magari ben ponderati; in genere chi ha queste inclinazioni fa poco affidamento su intese ed aiuti pubblici o dell’ente locale. Opera scelte innovative, percorre nuove strade, da spazio al cambiamento sopra evocato e, quasi sempre, vince.

È il caso delle palestre, sicuramente, ma anche di tante piscine private o pubbliche, con le seconde spesso sostenute da Comuni sensibili alle difficoltà di chi offre un servizio alla collettività. Ma spesso, anche se il comune si è dimostrato generoso e attento, i facili al lamento hanno comunque chiuso, lasciando senza piscina i cittadini e i propri dipendenti.
Domanda: ma come fanno a reggere e a incrementare entrate e numeri coloro che stanno tenendo aperto piscine e palestre?
Ci sono modelli innovati, ovvero che hanno saputo interpretare il cambiamento – capacità non comune – che non solo stanno superando molto bene questo inverno difficilissimo, ma stanno inanellando numeri sorprendenti.
Nel fitness parliamo delle low cost strutturate, dei fitness club premium o di studi PT che interpretano al meglio i nuovi bisogni di categorie di clientela cui si rivolgono o che sanno attirare con capacità e idee aggiornate.
Lo stesso accade per le piscine, anche qui con distinguo fra chi ha posizionamento alto e chi medio, magari anche medio/basso, ma con una strategia chiara. Perché la piscina “coltellino svizzero” che va bene a tutti, difficilmente può esistere, salvo saper rivoluzionare un modello dove il piano tariffario cambia secondo fasce più o meno commerciali e prevalgono flessibilità di orari e alta personalizzazione di servizi pagati di più rispetto a prezzi ordinari finanche sociali di molte piscine.

Se i gruppi spagnoli che stanno invadendo l’Italia offrono un mensile per tutta la famiglia a 65-70 euro/mese è perché hanno una strategia ed un’offerta mirati per quella categorie di clientela e basati su quella fascia di prezzo.
Loro hanno un modello ed è vincente e facilitato dalle economie di scala di cui sono capaci.
Così come sono capaci di portare in palestra e piscina il 13-15% della popolazione, quando mediamente nelle nostre vasche e fitness club ci contendiamo il vecchio e superato 9,3% della popolazione, dato a cui il settore è inchiodato da 10-15 anni.
Dov’è il cambiamento dei lamentosi e critici verso modelli di successo? Sono apparentemente gli stessi che nel primo decennio del 2000 pensavano di sapere tutto e che comunque a loro sarebbe andata bene, abituati a numeri facili e a protezioni assicurate dal soggetto proprietario: benefici e paracadute che negli anni si sono erosi o sono scomparsi per responsabilità di gestori ed enti pubblici.
Siamo nel 2023, ma sembra che quello che si commentava nel 2008 sia di disarmante attualità.
Da allora, per alcuni, nulla è cambiato.

In compenso molti altri si sono trasformati e sono cresciuti a dismisura ed oggi guidano la corsa al rinnovamento e verso i grandi traguardi che il mercato consentirà loro di raggiungere, anche grazie all’incapacità di cambiare di chi preferisce conservare…
Noi, nell’editoriale sopra evocato, quindici anni fa, quando ancora gestivamo un complesso sportivo con palestre e piscine, commentavamo così. Riportiamo a titolo esemplificativo alcuni stralci, dai quali si evince che lo scenario congiunturale del 2008 non era troppo diverso da quello di oggi e che anche in quegli anni c’era chi non capiva e ostinatamente bloccava il cambiamento.
NUMERI E PAROLE (VACUE)
Recessione, inflazione, crisi dei consumi sono le espressioni più ricorrenti fra i media. Difficile, in questo clima comunicativo, essere estremamente ottimisti; ma a ben guardare un alone protettivo e isolante sembra preservare le piscine. A ben guardare però; e non tutti ci vedono benissimo.
…
I nostri problemi (reali)
La crisi di liquidità, colpendo le banche in prima istanza, si riflette assai in negativo sulle piccole e medie imprese. I centri wellness e acquatici rientrano fra le prime, il che finanziariamente non depone a favore di un settore che deve fare i conti con costi in costante crescita, tariffe calmierate (tutto cresce ma non i prezzi dei centri acquatici), generalizzati vincoli con amministrazioni locali; un mix che frena inesorabilmente chi avrebbe capacità e potenzialità per tenere alta la qualità del servizio offerto ed è comunque bendisposto ad investire per riqualificare o potenziare l’esistente.

I nostri problemi (mentali)
… domandiamoci: … ragioniamo da impresa o continuiamo a verificare, limitandoci al quotidiano, se ci sono o meno le liste d’attesa, se l’aquagym tiene e il nuoto libero cresce, offrendo un format che “comunque vada sarà un successo”?
Girando l’Italia e l’Europa ci rendiamo conto della pochezza imprenditoriale e manageriale del nostro sistema dove la preoccupazione non è crescere qualitativamente, prevenire crisi probabili o preparare il terreno per una nuova ondata di frequentanti le piscine; in genere prevale l’alterigia del dogmatico che puntualmente ci insegna come operare, si imbroda da superesperto dichiarando che nulla ha da imparare: questi fenomeni sono ordinariamente assorbiti dalla preoccupazione di trovare l’accordo per pagare meno gli istruttori, di allinearsi sulle tariffe e format dell’offerta, di sostenenersi reciprocamente attraverso i lamenti di circostanza (i costi crescono e la gente non spende) senza nulla fare o pensare per fronteggiare certe situazioni insidiose (in genere sono solo pronti ad elemosinare contributi extra al comune).
Mali comuni, ma poco gaudio
…
Quello che va ci vuole poco ad intuirlo e lo fa capire il nostro “giudice unico”: il cliente o meglio il consumatore. Viene meno gente? Il cliente non è mai soddisfatto e pretende sempre di più? Signori fate un esame di coscienza, mettetevi – veramente- in discussione! La tua piscina tiene o cresce? Stai investendo in formazione pur sapendo che alcuni dello staff ti abbandoneranno? Sei consapevole che a pagar poco i fornitori significa comprare prodotti dozzinali e servizio di serie B? Stai pensando che il futuro sono gli over 50 (più di 20 milioni di persone) e stai correggendo il tiro, magari meno sbilanciato emotivamente sul target bimbi prescolari (circa 4 milioni)? Forse ci siamo: tu potresti essere fra coloro che nei prossima anni potranno compiacersi delle scelte di oggi e della capacità imprenditoriale che incarni. Gli altri? Si lamenteranno un po’ di più, ma saranno pronti a spiegarvi cosa si deve fare e perchè hanno -sempre- ragione loro. Parole, parole, parole che lasciamo volentieri a questi fenomeni di saccenza; noi, come molti di Voi, preferiamo che a parlare siano numeri e risultati concreti.

Ne parlavamo quindi anni fa: per molti, siamo rimasti al 2008. Fortunatamente il cambiamento è in atto da tempo ed è normale che i nostalgici cedano il passo a chi innova e ha coraggio di evolvere. Il futuro è loro, è vostro, di chiunque sia campione del cambiamento.