Il disconoscimento della natura decommercializzata delle associazioni sportive comporta la perdita dei benefici fiscali propri delle ASD perché si qualificano come società di fatto
Beatrice Masserini – Studio Cassinis, grazie alla sua newsletter mensile inoltrata anche alla nostra redazione, torna con un suo interessante contributo su wbox.it, richiamandosi ad una ordinanza della Corte di Cassazione che, secondo l’esperta in materia normativa e fiscale, è condivisibile circa la tassazione delle entrate derivanti dai corrispettivi versasti dai soci, ma lo è meno in merito alla riqualificazione della ASD come società di fatto.
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ASSOCIAZIONI SPORTIVE: DECISIVA LA QUALIFICA DI ENTE NON COMMERCIALE
Per le associazioni sportive la perdita della qualifica di ente non commerciale determina la riqualificazione in società di fatto. Questo il principio di diritto enunciato dalla Cassazione nell’ordinanza 546 dell’11 gennaio 2023. Il caso riguarda, in particolare, il disconoscimento della natura decommercializzata dell’ente sulla base dell’accertata mancanza di democraticità e partecipazione nell’associazione, in violazione dell’articolo 148 del Tuir. Con la precisazione che

l’intenzionale esercizio in comune tra i soci di un’attività commerciale comporta l’applicazione del regime di trasparenza (articolo 5 del Tuir).
Il tema sottoposto alla Corte è di non poco conto. Ciò in quanto la perdita della qualifica di ente “non commerciale” determina il venir meno dei benefici fiscali spettanti a queste tipologie di enti. Va considerato che la generalità delle associazioni assume dal punto di vista fiscale natura commerciale qualora, in un periodo d’imposta, tale tipologia di attività risulti prevalente (articolo 149 del Tuir). Questa regola generale non si applica per le associazioni sportive dilettantistiche (ASD) ed enti ecclesiastici, che mantengono lo status fiscale di enti non commerciali anche in caso di svolgimento di attività commerciale in forma prevalente (articolo 149, comma 4, de Tuir).

La Corte non solo giunge alla decisione di inquadrare fiscalmente l’associazione come ente commerciale, ma qualifica la stessa quale società di fatto. Si tratta di una soluzione probabilmente influenzata da una serie di circostanze di carattere sostanziale che emergono dall’ordinanza.
Tuttavia, al di là della condivisibile decisione di assoggettare a tassazione le entrate derivanti dai
corrispettivi specifici versati dai soci, disconoscendo così l’esenzione prevista dall’articolo 148,
comma 3 del Tuir, meno lineare appare la decisione di procedere ad una riqualificazione dell’ente quale società di fatto.

La partecipazione effettiva alla vita associativa, infatti, costituisce una condizione fiscale la cui assenza comporta il venir meno del regime di favore di cui al citato articolo 148, comma 3, del Tuir. Con l’effetto che, in assenza della suddetta condizione, l’ente sportivo, pur mantenendo la qualifica fiscale di ente non commerciale, vedrà assoggettare a tassazione le entrate di natura corrispettiva senza alcuna deroga. L’obbligazione tributaria, dunque, resta in capo all’associazione con l’unico limite che, in caso di inadempimento rispondono, sotto il profilo civilistico, anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione (articolo 38 del Codice civile).
In base alle informazioni emerse dall’ordinanza, dunque, non convince del tutto il principio di diritto espresso dalla Corte. Il mutamento della qualifica fiscale, infatti, di per sé non dovrebbe essere sufficiente a trasformare l’ente in una società di fatto con conseguente tassazione per “trasparenza” dei soci.
