Il comparto dell’acquaticità sul problema idrico si è distinto come soggetto passivo, quando invece dovrebbe essere il motore di una nuova cultura dell’acqua, volta alla sensibilità verso il problema e capace di proposte risolutive
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Alcune ore trascorse a Riminiwellness nella sua ultima edizione suggeriscono alcune riflessioni.
Le buone notizie sono almeno tre: un rinnovato interesse per il settore del fitness e del wellness in generale; la comparsa di nuove proposte tecniche e commerciali denota un grande fermento sia progettuale che di mercato; il comparto che si arricchisce anche di supporti medici e nutrizionali è indice di crescita nel contesto socio economico sempre più esigente in fatto di qualità.
Tuttavia i segnali di innovazione si scontrano con modelli che si basano su proposte non dico scontate, ma certamente che risentono dell’età. Certo si usano nuovi messaggi e si condiscono con un mix di nozioni scientifiche, qualche volta mediche, molta capacità persuasiva e soprattutto con linguaggi che risentono fortemente dei condizionamenti da puro marketing ed emotività.
Non sempre il messaggio che ne scaturisce rappresenta fonte di arricchimento culturale, non apportando spesso quei contenuti alla base della domanda odierna
Ma non sempre il messaggio che ne scaturisce rappresenta fonte di arricchimento culturale: anzi in alcuni casi non apporta quei contenuti che oggi un certo tipo di domanda chiede.
Queste semplici considerazioni riguardano specialmente il settore dell’acquaticità. E prima di andare direttamente sul pezzo, il futuro della piscina, è bene soffermarsi ancora una volta sul concetto di cultura dell’acqua.

Di acqua si parla quando manca e quando ne arriva troppa. Ma si parla e ben poco si fa. Sembra un problema impossibile da risolvere. Eppure fino al secondo dopoguerra la saggezza popolare e, meglio, la tradizione rurale, erano portatrici di una innata capacità di governo delle acque assecondando prevalentemente gli equilibri naturali. Per alcuni decenni del ‘900 l’ingegneria idraulica più avanzata, ereditata addirittura come concept dagli antichi greci e dai romani, aveva portato gli italiani nel mondo a realizzare grandi, e tutt’ora in esercizio, infrastrutture per la regimazione ed il governo delle acque continentali.
Poi un certo tipo di urbanizzazione, priva di regole se non quelle della speculazione edilizia, e la perdita di rapporti con la natura e le numerose scienze che la caratterizzano, ha di fatto trascurato il tema dell’acqua, almeno sotto il profilo del suo controllo per quanto possibile.
La cultura per l’acqua è divenuta la cenerentola nel complesso ed articolato problema ambientale.
Le criticità legate alla crisi idrica non sono nemmeno state considerate degne di cronaca dal mondo della piscina
Fin dagli anni ’90 molti contesti territoriali hanno dovuto pagare un caro prezzo per questa dimenticanza: alluvioni, dissesto idrogeologico, esondazioni hanno portato a lutti e danni enormi. Dai primi eventi connessi al cambiamento climatico. Ma la questione non è nemmeno stata adeguatamente considerata di cronaca dal mondo della piscina.

Ma oggi la situazione sotto il profilo della sicurezza idraulica non è certo cambiata. Lo sono invece i parametri di riferimento al contorno: l’urbanizzazione è notevolmente incrementata, moltiplicando i problemi relativi all’impermeabilizzazione del suolo e all’aumento del carico antropico, per cui tempi di corrivazione sono ancora più contenuti. Il regime delle precipitazioni è prevalentemente caratterizzato da lunghi periodi di siccità interrotti da piogge intense di breve durata. La pressione della città è cresciuta in modo esponenziale, tanto che il precario equilibrio naturale dei suoi paesaggi e dei suoi terreni è divenuto imprevedibile nelle sue evoluzioni. In definitiva il rimedio al problema idrogeologico ed idraulico risulta compromesso.
Il rischio idrogeologico ed idraulico deve preoccupare
Che fare? La cosa più semplice è cominciare (ricominciare) dalla reale conoscenza del territorio, evidenziando le criticità, ma contemporaneamente valorizzato gli aspetti naturalistici potenzialmente presenti. Non si tratta quindi di progettare interventi se non seguendo una pianificazione territoriale che ha come matrici fondamentali due temi ben precisi: l’uomo e l’acqua.
Infatti una buona conoscenza può generare nuove visioni facendo emergere come opportunità quei contesti che forse troppo spesso si considerano solo condizionamenti.

Creare un modello di sviluppo non è difficile, ma farlo funzionare appare oggi complesso. In questo momento storico (alluvioni, migrazioni, siccità, perdita di rapporti con il mondo rurale ed agricolo, mutamenti climatici, etc) potrebbe costituire invece una grande occasione di rilancio di una economia ambientale troppo spesso parlata e quasi mai praticata.
Il mondo dell’acquaticità non deve più essere soggetto passivo, ma attore tra i principali
Questa ipotesi potrebbe riguardare l’istituzione di un modello di riferimento in cui finalmente il mondo dell’acquaticità potrebbe divenire un soggetto non più passivo, ma attore tra i principali. La cultura dell’acqua, infatti, non è questione di soli numeri (le piscine tutte insieme rappresentano briciole di quanto si consuma in generale), ma proprio di sensibilità culturale. Una tra tante considerazioni è quella per cui TUTTE le variabili di sistema non possono essere solo dei pretesti di piccolo business temporaneo.
Invece l’acqua va intesa come risorsa da valorizzare in un contesto anche temporale di certezze e di adattamenti che richiedono ben altro approccio al tema della sostenibilità ambientale, dove l’acqua va ascoltata, assecondata e prevista nella sua naturale evoluzione. E chi può farlo meglio di coloro che con l’acqua ci vivono tutti i giorni e ne fanno un riferimento socioeconomico importante con ripercussioni di tutti i tipi?
Predisporre un piano strategico di messa in sicurezza potrebbe costituire, oggi, un buon motivo per divenire motivo di interventi di finanza pubblica e non solo.