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SPORT E SALUTE UN VERO BUSINESS PER IMPRESE VERE

di Marco Tornatore, redazione@euroaquatic.it

Il presidente di Fit.Comm è anche il leader della più importante catena di centri fitness nazionale, che opera come società di capitali, situazione rara nel sistema sportivo italiano, ma che sulla scia di Iezzoni, potrebbe maturare nuove convinzioni e una nuova identità.

La nuova rubrica “Leadership”, in questo primo numero di HA&W 2021, concentra la sua attenzione su un protagonista indiscusso del comparto fitness/piscina/wellness, distintosi sia per capacità imprenditoriali uniche in Italia quando si parla di settore sportivo, sia per le sue scelte strategiche e, non ultimo, per la meritoria presidenza a lui assegnata in Fit.Comm, associazione di categoria che raccoglie le Imprese del Fitness costituitesi come società di capitali: parliamo di Francesco Iezzoni, già interpellato in passato su altre questioni. Se certe realtà sono state già in grado di agire come Imprese a tutti gli effetti, è evidente che si possa fare business senza ricorrere a soluzioni che l’attuale normativa suggerisce alle varie società di gestione di impianti; l’infinito iter per la stesura della nuova legge quadro dello sport non prelude certo al riconoscimento di società sportive profit, come avviene nel resto d’Europa, non escludendo in futuro gli attuali equivoci e vulnerabilità del sistema sport, non ultimo la sua mancata considerazione come reale risorsa economica del Paese, precarietà emersa drammaticamente in questi mesi condizionati dall’emergenza Covid-19. Siamo il nulla per le istituzioni e per la politica, ma alcuni, come Iezzoni e Fit.Comm, hanno avviato un percorso ben diverso, che spinge verso un’identità di Impresa e di forza dell’economia nazionale, incisiva su welfare, salute, e benessere della collettività.

Perché è fondamentale inquadrare lo sport come business e quali incongruenze sistemiche sono da abbattere? L’esempio di Prime/Palestre Italiane

Mi viene da rispondere con altre domande: “Perché è così difficile in Italia inquadrare le nostre attività come imprenditoriali? Perché in Europa invece è la norma? Credo che la risposta risieda in un settore che in molti casi preferisce “nascondersi” dietro la sua specificità, accontentandosi di vivacchiare nella terra di mezzo tra Profit e No-Profit. Così facendo però non tutela realmente le professionalità che ci lavorano, anzi spesso allontana le migliori, non produce Management, non crea ricchezza, non viene considerato “Sistema Produttivo”. Con PRIME e Palestre Italiane lo sforzo compiuto è stato immane, perché offrire un servizio professionale, tutelare i lavoratori e remunerare il capitale, in questo contesto normativo, è un’impresa durissima. I riconoscimenti ci sono stati e sono motivo d’orgoglio, ma senza un cambio di passo sarà difficile continuare.

ABBIAMO DATO VITA A FIT.COMM PROPRIO PER PROVARE A DARE UNA SCOSSA AL MONDO DELLE PALESTRE E DELLO SPORT NON PROFESSIONISTICO, DANDO DIGNITÀ A CHI CI LAVORA, A CHI INVESTE, A CHI LO PRATICA

Sport come presidio della salute è servizio sociale, ancor più in epoca Covid-19, anche se politica e istituzioni non lo capiscono, ma non per questo giustifica tariffe basse: cosa deve cambiare nel circuito dell’offerta sportiva?

Che lo sport, il movimento, siano una medicina preventiva, non lo dico io ma i vari piani sanitari degli ultimi anni. Lo Stato dovrebbe semplicemente essere coerente con se stesso, e far seguire questo assunto da politiche fiscali incentivanti per i cittadini e le imprese. Come FIT. COMM abbiamo chiesto di portare l’IVA al 10% sulle tariffe di Palestre e Centri Sportivi, come accade per i farmaci, e di rendere la spesa detraibile in Dichiarazione. L’accoglimento di tali proposte richiederebbe un minimo investimento da parte dello Stato in termini di agevolazioni, ma avrebbe ricadute enormi in termini di prevenzione di numerose patologie, e darebbe la linfa necessaria alle imprese del settore per ripartire dopo un anno così nefasto. Certo, quando leggo che sul Recovery Fund si parla di tutto fuorché di Salute e prevenzione, qualche dubbio mi viene.
Agire sulla leva del prezzo è l’ultima cosa che farei. È chiaro che se dallo Stato non arriveranno risposte, si agirà in quel senso. Ma così sopravviveranno solo i colossi con le spalle larghe e i “finti” No-Profit. E i problemi di cui parlavo prima non cambieranno di una virgola.

Lei parla di concorrenza sleale ma il sistema oggi impone per lo sport società no profit, che conveniamo siano un’incongruenza in termini. Come affrontare in Italia questo problema?

Occorre che Ministero dello Sport, Ministero della Salute e tutte le sigle che rappresentano il movimento nelle sue varie sfaccettature, si siedano allo stesso tavolo e distinguano chiaramente ciò che è Profit (con le agevolazioni legate alla sua funzione sociale) e ciò che non lo è. Vorrei chiarire che nella mia visione, il No-Profit deve assolutamente continuare ad esistere, perché fondamentale per garantire che la pratica sportiva resti un diritto universale. Il problema non è, e non sarà mai, il No-Profit, ma il Profit mascherato.

IL NOSTRO È UN SETTORE CHE IN MOLTI CASI PREFERISCE “NASCONDERSI” DIETRO LA SUA SPECIFICITÀ, ACCONTENTANDOSI DI VIVACCHIARE NELLA TERRA DI MEZZO TRA PROFIT E NO-PROFIT

Alcune palestre già operano come società di capitali: lei perché ha scelto di agire in tale maniera e quali suggerimenti si sente di dare a piscine e centri fitness nazionali?

Ho scelto la società di capitali perché è evidente che le nostre attività abbiano finalità commerciali, pur con ricadute sociali importanti. Credo che svolgere la propria attività nel rispetto delle regole sia l’unico modo per tutelare i soci, chi investe e i lavoratori. Che poi certe regole vadano riformate, è un altro discorso. Non credo di poter dare suggerimenti a nessuno, ma è chiaro che sfruttare le maglie larghe di alcune norme per ottenere indebiti vantaggi è una scelta miope e di corto raggio. Io non la farei.

IL NO-PROFIT DEVE ASSOLUTAMENTE CONTINUARE AD ESISTERE, PER GARANTIRE CHE LA PRATICA SPORTIVA RESTI UN DIRITTO UNIVERSALE. IL PROBLEMA NON È, E NON SARÀ MAI, IL NO-PROFIT, MA IL PROFIT MASCHERATO

I punti chiave per costruire valore e patrimonializzare l’azienda nel mercato della pratica sportiva, sovente condizionato da logiche istituzionali/federali poco compatibili con l’attività d’impresa.

In parte dovrò ripetermi, ma fino al Covid abbiamo assistito a una situazione in cui tanti soggetti si sono accontentati di sopravvivere, servendosi di organizzazioni rappresentative che hanno “giustificato” lo status quo. Il focus è sempre stato sui contributi da ricevere più che sulla creazione di valore economico. È chiaro che con queste premesse, lo scarso “peso specifico” dell’intero settore non ha permesso, durante l’emergenza sanitaria, di interloquire con i soggetti istituzionali da una posizione di forza.

Credo che una situazione di questo tipo non si possa più tollerare. Abbiamo dato vita a Fit.Comm proprio per provare a dare una scossa al mondo delle palestre e dello sport non professionistico. La sua ripartenza non potrà che passare dal ridare dignità a chi ci lavora, a chi investe, a chi lo pratica. Lotteremo con tutte le armi a nostra disposizione, fino a che l’obiettivo non sarà raggiunto.

Scritto da redazione

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